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Storia

Con Nitsch la galleria compie non solo un ulteriore avvicinamento al contesto internazionale, ma continua a privilegiare la strada della pittura come forza espressiva primordiale, come bisogno immediato e anche violento di esprimersi e comunicare. Nell’aprile del 2005 la collettiva di giovani artisti “Faces” rappresenta un’altra apertura verso l’arte attuale con la partecipazione di artisti trentenni come Leonardo Greco o Riccardo Baruzzi, che in questi ultimi anni si sono affermati come esponenti di una nuova pittura che mette insieme capacità narrative, gestualità espressionista e valori concettuali di distanza verso i soggetti. “Faces” è stata una mostra di tendenza che va vista come una sperimentazione nel programma generale della galleria, pur mantenendo ferme alcune coordinate di base. A giugno dello stesso anno poi è stato presentato un vero outsider, Romano Bertuzzi, artista piacentino, grandissimo disegnatore ma anche performer di ottima levatura. Il titolo della mostra “Supernatura” voleva riassumere il lavoro dell’artista che ha sempre cercato un rapporto diretto e genetico con il mondo naturale e delle tradizioni contadine. Nel periodo performativo e concettuale cercava proprio di salvare gesti antropologicamente fondati e semplici. Cose semplici sono anche diventati i soggetti del suo particolare disegno in cui rappresenta fondamentalmente o alberi o di mucchi di sassi che sono caratteristici del territorio del Po e della fascia di pianura limitrofa in cui l’artista vive. Il suo spostamento verso il paesaggio e verso il disegno sono parte della sua poetica iniziale, ma con un passaggio verso l’icona e la simbologia. Interessante anche che l’artista faccia diventare il tempo impiegato, lunghissimo di giorni e settimane, un componente dell’opera. L’ultima mostra del 2005 è stata quella dedicata al movimento italiano più conosciuto del mondo con l’Arte povera, la Transavanguardia, con opere, anche in questo caso, degli anni giusti, cioè di quei primi anni ’80 che hanno visto cambiare la scena dell’arte internazionale con il ritorno alla pittura dopo la lunga stagione concettuale. In particolare per la mostra sono stati scelti dei lavori dei lavori di Sandro Chia, Mimmo Paladino e Francesco Clemente, in cui il pensiero e la memoria dell’arte riaffiorano sempre in modo deciso e chiaro, come continuità e costante riferimento. La Transavanguardia, quindi, va letta come movimento che riassume in sé le caratteristiche della pittura del novecento, ma anche in questo caso si tratta della pittura più espressiva, forte, anche sensuale, in cui il piacere è parte essenziale del vedere. In fondo l’attraversamento dei linguaggi delle avanguardie d’inizio secolo viene svolto in modo sempre distante dalla citazione pura e semplice, il gruppo italiano ha saputo ritrovare le motivazioni profonde del dipingere ancora e sempre in modo emozionale. L’inizio del 2006 è aperto da una mostra storica dal titolo “Il paesaggio tra metafisica e sogno” curata da Franco Basile. Dopo il nudo e il ritratto, il paesaggio è un altro dei generi classici dell’arte e questa mostra ha presentato un ampio spettro di opere dagli anni ’20 fino ad un estremo paesaggio di Morandi del 1964. Gli artisti rappresentati sono stati: Mario Sironi, Filippo de Pisis, Osvaldo Licini, Ottone Rosai, Giorgio de Chirico, Fortunato Depero e un giovane Domenico Gnoli con un’opera del 1954, in cui è forte l’influenza del maestro Gentilini. Come ha scritto il curatore in catalogo: “Il tracciato di questa mostra si delinea tra un’immagine del 1914 e un’altra del 1961. Dunque una storia lunga cinquant’anni che in parte è anche la storia che ha caratterizzato tante vicende del secolo scorso. Ogni artista lascia una traccia di sé lungo i sinuosi tratti della creatività, le opere sono segnali del ricordo, la memoria focalizza elementi di giorni trascorsi qualificandosi come interprete di un passato che, coniugato al presente, può generare indizi di rinnovate espressioni.” La mostra è pertanto dedicata all’idea metafisica di una realtà ulteriore e a una certa visionarietà che se non è propriamente surrealtà, le è molto simile. In ogni caso ritorna protagonista il secolo passato, come nella mostra seguente dedicata a Giuseppe Viviani e Achille Funi. Del ferrarese sono state presentate 4 carte dal 1911 al 1916 in cui dallo splendido acquarello del “Paesaggio milanese” all’ “Osteria” del 1916 si notano le influenze sironiane, ma anche lo sguardo dell’artista, pur legato al Novecento della Margherita Sarfatti , che andava al contesto europeo in cui l’espressionismo tagliava con l’accetta volti ed ambienti. Più ampia la presenza di Viviani con opere dal 1949 al 1964 tra cui un pregevole olio dal titolo “Veditore e cane” del 1957. L’artista toscano grande incisore al pari di Bartolini e Morandi, resta un caso a parte nell’arte italiana per la sua predisposizione al disegno e ad un’inflessione marcatamente caricaturale. Con questa mostra la galleria si è proposta anche per la capacità di far venire allo scoperto aspetti meno conosciuti dell’ arte italiana del novecento, in modo tale da costituire anche un quadro di riferimento culturale della nostra arte non certo scontato. Una prospettiva più internazionale viene recuperata con l’ultima mostra del 2006 dal titolo “Dall’astrazione all’informale” in cui sono stati coinvolti artisti nati negli anni ’10 e ’20 del secolo scorso che hanno reagito al secondo dopoguerra con una carica di innovazione e di ricerca sperimentale, determinante per superare le secche coeve del neo realismo. Per questo erano presenti opere di artisti del Gruppo Forma 1 con Dorazio e Perilli o Crippa con il suo Spazialismo, la scultura post-espressionista di Agenore Fabbri, l’Espressionismo astratto di Scialoja, l’Ultimo Naturalismo con Morlotti e Pizzinato, il gruppo Cobra con lo svedese Lindstrom, la scuola di Parigi con il russo-parigino Lanskoy. Una mostra coraggiosa e difficile perché ha cercato di sintetizzare le istanze di un paio di generazioni di artisti che si sono sentiti pronti ad accettare la sfida del cambiamento e del rinnovamento dei linguaggi negli anni ’50 e ’60. E si è anche trattato di una ricostruzione storicamente ineccepibile, offrendo una selezione di opere di peso e caratura. Il 2007 inizia con una mostra curata da Claudio Spadoni, direttore del MAR di Ravenna e attento studioso del Novecento,, dedicata all’opera del pittore bolognese Aldo Borgonzoni. Viene proposta una lettura “espressionista” del suo lavoro, in luogo del più consueto e rassicurante realismo, che rispecchia proprio un saggio del 1995 dello stesso Spadoni intitolato “Il Naturalismo espressionista di Aldo Borgonzoni”. In pratica vengono ricostruiti 40 anni di attività dell’artista attraverso ben 24 dipinti dall’ “Autoritratto” (1941) fino al “Tramonto con albero secco” (1977-80). In pratica la mostra viene articolata in una prima sezione in cui sono documentati gli esordi in cui il pittore si confronta con la “Scuola romana” o anche con le coordinate europee di un James Ensor ( “Mascherata” ,1943 ), e in una seconda aperta da “Nello studio” (1957), in cui l’ atmosfera e il segno espressionista diventano sempre più forti, concentrandosi sui temi degli anni ’60 e ’70 come le periferie urbane o il Concilio vaticano II a cui si era dedicato anche Sergio Vacchi. Emerge pertanto la “luce del nord” che guida Borgonzoni alla ricerca di una tensione spirituale ed esistenziale , che si confronta con quella scuola tedesca che aveva ammirato fin dal suo viaggio a Norimberga nel 1939. Nel maggio del 2007, la galleria propone una mostra sulla fotografia, il medium che si è maggiormente affermato nel corso degli anni ’90, diventando anche un imperativo per il collezionismo. Con “Fotografia Italiana, realtà e visione” vengono presentate 22 fotografie, tutte firmate e realizzate in pochi esemplari, di fotografi storici come il reggiano Luigi Ghirri o il modenese Franco Fontana. Ma vi sono anche presenze non solo legate alla fotografia di paesaggio, anche alcuni reporter come Mario Cresci o Carlo Orsi sono presenti con alcuni loro pregevoli scatti. Un’attenzione è stata rivolta anche ai giovani rappresentati dal bolognese Davide Tranchina e il napoletano Francesco Jodice.